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sabato 2 marzo 2013

Dietro l'obiettivo - Una bambina, un cane e troppi fotografi


Emma è una bambina di tre anni in attesa di trapianto che vive in una camera dell'ospedale Regina Margherita di Torino, attaccata a un macchinario che permette al suo piccolo cuore di battere. La direzione dell'ospedale, in accordo con un'associazione che si occupa di pet therapy e con la famiglia, decide di portare nella camera di Emma il suo cane Black, visto che la piccola ha espresso più volte il desiderio di vederlo.

Il giorno prima della visita di Black vado all'ospedale con il collega giornalista per raccontare questa storia. Dopo aver intervistato i medici che si occupano del caso, entriamo nella stanza che da un anno è la casa di Emma. Lei è con la mamma Maria, una ragazza giovane, simpatica e molto disponibile.
Emma è una bambina normalissima nonostante l'affezione di cui soffre: come tutte le bambine di tre anni è un po' timida, quindi prima di fotografarla con la mamma sto un bel po' a parlarle, a conoscerla, a farla giocare con la macchina fotografica. La stanza è molto bella, grande, luminosa, piena di giocattoli e direi anche accogliente, nonostante sia una camera di ospedale. Essendo la sua casa è completamente a misura della bimba, a cominciare dalla scritta EMMA sulla porta di ingresso per arrivare ai poster appesi alle pareti.

Dopo un po' di titubanza, io ed Emma facciamo amicizia, e riesco a fotografarla con la mamma senza essere troppo fastidioso o invasivo; vorrei essere un ospite discreto, addirittura non uso il flash per non dar fastidio, faccio una decina di foto, un paio di inquadrature e poi poso la macchina fotografica: così può bastare.
Ci sono storie a cui ci si affeziona, e questa è una di quelle. Quindi decido, nonostante non sia di turno, di tornare l'indomani perché voglio proprio vedere che faccia farà la piccola Emma quando incontrerà il suo cane.

Il giorno dopo, infatti, sempre con lo stesso giornalista torno al Regina Margherita. Purtroppo le condizioni sono leggermente cambiate. Essendo una storia tutto sommato “bella” (so che si tratta di una piccola malata, ma fortunatamente non è in pericolo di vita e la pet therapy negli ospedali pediatrici si sta diffondendo sempre di più perché serve ai bambini a superare la depressione da ricovero), stavolta non sono da solo. Oltre al giornalista che era con me ieri ce ne sono altri quattro o cinque, più tre fotografi due cineoperatori e altri curiosi vari: insomma il circo mediatico al gran completo e “in tutto il suo splendore”. Capisco subito che ci sarà da arrabbiarsi quando una giornalista chiede ad alta voce se il cane è feroce (!!!!!) e un altro vuole sapere se è stato addestrato (“No, no lo hanno lasciato fino a ieri a pascolare vacche, tanto siamo solo in un ospedale pediatrico...” vorrei dirgli),  fino ad arrivare al genio che arriva a chiedere al primario se hanno previsto l'eventualità che il quadrupede “faccia la cacca.

Prima o poi scriverò in maniera dettagliata le meravigliose domande che ho sentito porre da alcuni geni in tutti questi anni, ma torniamo a noi. Finalmente questo bel giro di questioni interessanti viene interrotto dall'arrivo di Black con la mamma della piccola e la sorellina. Tutti si fiondano a fotografare e a riprendere il cane, io mi aspetto che da un momento all'altro qualcuno cerchi di intervistarlo. Dopo alcune domande a mamma Maria ci si avvia verso la stanza.

L'addetto stampa del Regina Margherita tenta in qualche maniera di limitare l'accesso, ipotizzando un ingresso scaglionato, ma purtroppo ormai la macchina è in moto e tutti entriamo all'interno della stanza. Fortunatamente Emma, che è seduta a un tavolino, concentra tutta l'attenzione sul buon Black senza dar troppo peso alla mandria che lo segue, e inizia ad accarezzare il suo cagnone.
Bisogna sapere che capita sovente di spintonarsi per poter fare le foto, io in alcune situazioni sono il primo che sgomita, ma in quest'occasione lo trovo fastidioso e fuori luogo. Potrei andarmene subito, ma purtroppo questo significherebbe non fare le foto e domani trovarle lo stesso sul giornale per cui lavoro: siamo in troppi e di squali in questo mare ce ne sono a bizzeffe, quindi mi tocca restare e adeguarmi.


Il momento toccante della piccola che accarezza il cane si perde tra “scusa, mi fai passare, adesso tocca a me, spostati, devono lavorare tutti...” ecc. Fortunatamente l'addetto stampa prende in mano la situazione e dopo essersi assicurato che ognuno abbia fatto il suo lavoro, ci butta finalmente fuori dalla stanza. Ora, non voglio fare qui la figura del paladino solitario che si batte contro i cattivi senza cuore: non so perché questa cosa mi ha così infastidito, forse perché ho vissuto il clima della stanzetta di Emma il giorno prima o forse perché mi rendo conto che al giorno d'oggi iniziamo davvero a essere in troppi a fare questo lavoro, nonostante il lavoro stia praticamente scomparendo.

Quando ho iniziato, quasi venti anni fa, la cronaca nera era una parte molto cospicua del giornale e occuparsene voleva dire avere il pelo sullo stomaco: scatti fatti di nascosto, interviste “difficili”, foto a delinquenti arrestati e così via. Nulla di tutto questo mi ha mai spaventato, anzi ho sempre affrontato tutte le situazioni con rispetto sì, ma anche con molta decisione senza mai lasciarmi intimorire.

Forse sto semplicemente invecchiando...

Daniele Solavaggione


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2 commenti:

  1. Non sono un addetto ai lavori (e non farei mai il fotografo o il giornalista), però ritengo che troppi giornalisti e/o fotografi manchino veramente di rispetto per le persone coinvolte nelle notizie che devono dare.
    Come in questo caso, infatti, i giornalisti cominciano a fare una caterva di domande a caso, per cercare di catturare per un attimo l'attenzione di qualcuno: solo che qui si trovano in un reparto di ospedale pediatrico, non in un teatro a intervistare una show girl discinta.
    Nelle interviste colgo l'ansia di fare la domandona da scoop, in mancanza della quale vengono fatte domande a raffica in stile gossip - quando va bene - per cercare nella risposte qualche parola non tanto calzante, quanto sensazionalistica, che faccia emergere questa notizia dal mare magnum delle notizie di cronaca.

    Credo che sia un brutto modo di fare giornalismo, anche perché alla fine vengono premiati proprio i giornalisti che azzardano di più invece di quelli che cercano di fare un servizio decente e rispettoso dell'ambito dove si svolge l'evento.
    Questo è uno dei motivi per cui non guardo più telegiornali e programmi di "approfondimento", politico o meno: il giornalista o conduttore di turno che si sbraccia e usa parole al limite del triviale e dell'osceno per rivolgersi a spettatori sempre più presi dalla smania del triviale, dell'orrido e del gossip fini a sé stessi.
    Io vorrei essere rispettato quando assisto ad un programma televisivo.

    In questo caso "invecchiare" non lo ritengo un dramma, quanto l'acquisizione di un po' di saggezza in più, la consapevolezza di un'attenzione verso delle persone vive e vere che in (troppe?) occasioni passate è mancata.

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